martedì 28 febbraio 2012

Migranti ed espulsioni collettive

È di pochi giorni fa la notizia - alla quale sono seguite aspre polemiche - secondo cui la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per i respingimenti dei migranti verso la Libia dell’allora Mohammar Gheddafi. Fatto accaduto nel maggio 2009. In buona sostanza i giudici di Strasburgo hanno deciso che il governo italiano - quindi il contribuente - dovrà pagare 15mila euro a testa, oltre spese legali, a un gruppo di ventiquattro profughi africani, come risarcimento per i danni subiti. Secondo la ricostruzione dei fatti, i profughi furono intercettati a sud di Lampedusa e consegnati dalle motonavi italiane alle autorità libiche. Un comportamento, secondo la sentenza, che si è tradotto in una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, in quanto gli stessi sventurati furono palesemente esposti al rischio di maltrattamenti in Libia, oltre a quello di venire rimpatriati in Somalia ed Eritrea. Secondo la Corte europea l’Italia ha violato anche l’articolo che proibisce i respingimenti collettivi, ovvero le autorità italiane non effettuarono alcun controllo su identità ed eventuale status di rifugiato. Per la prima volta la Corte ha equiparato il respingimento collettivo alla frontiera e in alto mare alle espulsioni collettive nei confronti di chi è già entrato nel territorio. Un monito, quello della Corte, da interpretare soprattutto riguardo alla faciloneria e politica propagandistica con cui si affrontano argomenti seri e gravi come quello dell’immigrazione.