Crimine e scienza

Brevi riflessioni di criminologia, vittimologia, criminalistica. È di questi giorni la notizia diramata dai media secondo cui è stato tipizzato il Dna del padre del presunto assassino di Yara Gambirasio, la ragazzina di Brembate Sopra - sequestrata e uccisa - ritrovata il 26 febbraio 2011 a tre mesi dalla scomparsa. Oltre un anno e mezzo di indagini senza esiti sostanziali, almeno fino ad ora. Polemiche e scontri di opinioni tra chi rivendica la genuinità delle investigazioni fin qui eseguite e chi, viceversa, ne manifesta forti perplessità. Il Dna analizzato ha dei punti di contatto con quello trovato sugli indumenti della vittima, ma appartiene a un uomo morto oltre un decennio fa. Questo dato, secondo taluni, dimostra che la persona deceduta può essere il padre dell'assassino e che il caso è prossimo alla soluzione. Mentre, secondo altri il dato acquisito rimane tale in assenza di ulteriori riscontri oggettivi. Ed è proprio questo il punto, di cui si è avuta esperienza già in passato in altri casi giudiziari di altrettanta efferatezza e gravità (ad esempio: delitto Cesaroni, Roma 1990 – delitto Poggi, Garlasco 2007). Nel senso che individuare il Dna di qualcuno sulla scena del crimine o sulla vittima, sui vestiti eccetera, non potrà mai portare a sostenere con ragionevole certezza che è stato individuato un assassino, perché va valutato se colui al quale appartiene il Dna aveva contatti abituali con la vittima o se il contatto è stato occasionale piuttosto che accidentale; e che in tutte le ipotesi ci si troverebbe di fronte unicamente a un forte indizio di reità che però difficilmente - da solo - potrà reggere in sede dibattimentale. Non è in discussione, pertanto, l’importante risultato ottenuto per mezzo dell’evoluzione scientifica cui siamo giunti, ma per attribuire la responsabilità di un evento delittuoso - al di la di ogni ragionevole dubbio, così come da disposizione di legge - ci vuole anche altro.