domenica 30 settembre 2012

L’universo carcerario

Una vicenda, anzi più di una a come sembra, che lasciano sgomenti, ciò aldilà se i fatti saranno o no acclarati in sede di accertamento giudiziario. Proprio così, perché solo il fatto che due donne, in circostanze e momenti distinti possano arrivare a denunciare (almeno in un caso) di stupro un agente di polizia penitenziaria (vicecomandante di reparto) in servizio dove si trovavano detenute, significa almeno due cose. La prima è che l’accusato almeno una volta si è trovato a rimanere da solo con le denunzianti; la seconda è che non esiste o è elusa in seno al carcere la ragionevole misura precauzionale secondo la quale ciò non dovrebbe essere possibile, ovverosia consentito. Premesso ciò e scontato che l’organizzazione carceraria è ispirata al principio dell’umanizzazione della pena detentiva, non lo è a quanto sembra emergere dal caso in esame che in tali organizzazioni, dette complesse, debbano realmente trovare applicazione norme e ruoli che stabiliscano i vari compiti, non da ultimi quelli di controllo. Diversamente da quest'ultimo principio, a mio modo di vedere, è l’intero sistema ad essere messo in discussione e non già il comportamento del singolo individuo che eventualmente ne risponderà secondo legge.