Assistenza per handicap

La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo 33, comma 3, della Legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), così come modificato dall'articolo 24, comma 1, lettera a), della Legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l'assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, cioè in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.


Scrivono i giudici in motivazione: «Infatti [...], la ratio legis dell’istituto in esame consiste nel favorire l’assistenza alla persona affetta da handicap grave in ambito familiare. Risulta, pertanto, evidente che l’interesse primario cui è preposta la norma in questione [...] è quello di [...] assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell'assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare, indipendentemente dall'età e dalla condizione di figlio dell’assistito [...]. Tanto più che i soggetti tutelati sono portatori di handicap in situazione di gravità, affetti cioè da una compromissione delle capacità fisiche, psichiche e sensoriali tale da [...] rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione [...]. La salute psico-fisica del disabile quale diritto fondamentale dell’individuo [...] rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all'uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità [...]. L’assistenza del disabile e, in particolare, il soddisfacimento dell’esigenza di socializzazione, in tutte le sue modalità esplicative, costituiscono fondamentali fattori di sviluppo della personalità e idonei strumenti di tutela della salute del portatore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica [...]. Il diritto alla salute psico-fisica, ricomprensivo della assistenza e della socializzazione, va dunque garantito e tutelato, al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale [...] deve intendersi [...] ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico [...]. Alla luce delle premesse sopra svolte, se tale è la ratio legis della norma in esame, è irragionevole che nell'elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito ivi disciplinato, non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità [...]. D’altra parte, ove così non fosse, il diritto [...] del portatore di handicap di ricevere assistenza nell'ambito della sua comunità di vita, verrebbe ad essere irragionevolmente compresso, non in ragione di una obiettiva carenza di soggetti portatori di un rapporto qualificato sul piano affettivo, ma in funzione di un dato “normativo” rappresentato dal mero rapporto di parentela o di coniugio [...]. La norma in questione, nel non includere il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito, vìola, quindi, gli invocati parametri costituzionali, risolvendosi in un inammissibile impedimento all'effettività dell’assistenza e dell’integrazione» (cfr. Corte Costituzionale, Sentenza n. 213/2016; udienza e decisione del 5 luglio 2016; deposito del 23 settembre 2016; pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 28 settembre 2016).