Sul segreto di ufficio

La sentenza esaminata pone spunto per riaffermare il principio normativo richiamato in materia di segreto di ufficio, cui incombe l'obbligo di rispetto in capo al pubblico ufficiale, all'incaricato di pubblico servizio e comunque al dipendente pubblico più in generale. La decisione dei giudici di legittimità, confermando la sentenza di colpevolezza dell'imputato, mette l'accento su due norme specifiche: l'articolo 28 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 (in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e l'articolo 326 del Codice penale (Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio).
Nel primo caso: «L'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio. Non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso».
Nel secondo caso: «Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie d'ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie d'ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni» (cfr. Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza n. 5818/17; udienza e decisione del 21 dicembre 2016).