Esigenze cautelari

Va esclusa le misura meno afflittiva degli arresti domiciliari rispetto alla custodia in carcere per la donna che sostiene di dover accudire la figlia maggiorenne ma completamente invalida. Già nel merito il Tribunale del riesame rigettava l’appello proposto dalla ricorrente sottoposta alla misura coercitiva della custodia in carcere perché gravemente indiziata del delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso. La questione posta all'attenzione della Corte di cassazione riguarda quindi l’analoga applicazione che pone il divieto della custodia in carcere nei confronti dell’indagato quando si «tratti di donna incinta o madre di prole convivente di età non superiore ai sei anni, oppure di padre quando la madre sia deceduta o assolutamente impedita dal prestare assistenza ai figli». Adducendo, appunto, che tali situazioni dovrebbero essere equiparate a quella in cui versa la figlia della ricorrente: «affetta da sindrome di Down con un’età mentale di sette anni, da altre patologie totalmente invalidanti, richiedenti interventi chirurgici periodici e lunghi trattamenti riabilitativi, in assenza dei quali resterebbe compromessa la sua motilità e le altre funzioni essenziali, oltre che da sindrome depressiva e quindi, nonostante il raggiungimento della maggiore di età, bisognosa dell’assistenza continua della madre, stante l’assenza di altre figure familiari in grado di accudirla […] per l’avvenuta carcerazione dei genitori, dei fratelli e degli zii paterni e materni e quindi affidata ad un tutore legale». Ebbene, la Corte, nel valutare la complessa e delicata vicenda, ha premesso che la misura restrittiva applicata «risponde a finalità di contrasto di fenomeni criminosi, ritenuti tra i più gravi ed allarmanti perché in grado di ledere beni primari, quali l’ordine e la sicurezza pubblici, sul presupposto della generalizzata pericolosità di quanti siano raggiunti da indizi circa la loro consumazione e le cui istanze di libertà personale devono cedere […] a fronte delle preminenti esigenze di tutela della collettività. Soltanto nella ricorrenza di condizioni di particolare debolezza del soggetto indagato o imputato, legate alla gravidanza, alle necessità di assistenza di prole convivente di età non superiore ai sei anni, all'età, alla salute, quindi connesse a diritti inviolabili della persona […] gli interessi processuali e di prevenzione non impediscono l’accesso a misure diverse da quella custodiale». Pertanto, almeno per quanto riguarda le doglianze così come formulate nel ricorso, lo stesso è stato dichiarato inammissibile, lasciando invariata la misura cautelare iniziale, condannando l’imputata al pagamento delle spese del procedimento ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (cfr. Corte di cassazione, Sezione Quinta Penale, Sentenza n. 48371, decisa il 20.06.2017).